11/28/2024|diamanti
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I diamanti sono considerati il bene rifugio per eccellenza, in primo luogo perché non sono soggetti a tassazione e in secondo luogo perché si suppone che il loro valore sia stabile nel tempo ed immune a variazioni del mercato e crisi politico-economiche. Ma è davvero così?
Più in generale, cosa sono i diamanti da investimento? In che modo sono diversi dai diamanti ad uso commerciale? Ha senso, al giorno d’oggi, investire in diamanti? In questo articolo proveremo a rispondere a queste domande, analizzando le caratteristiche che una pietra deve avere per essere considerata un investimento, nonché i pro e i contro dell’investire in diamanti.
Il primo elemento caratterizzante dei diamanti da investimento è la rarità: solo il 20% dei diamanti estratti è di qualità idonea alla gioielleria, e di questi solo il 2% può considerarsi da investimento.
Come per il resto dei diamanti, anche la qualità di quelli da investimento viene valutata secondo i parametri delle 4C - Carat (caratura), color (colore), clarity (purezza), cut (taglio). Di seguito le caratteristiche che deve avere un diamante da investimento.
Diverso il discorso dei diamanti colorati, noti anche come “fancy diamonds”. Questi vengono valutati principalmente in base alle dimensioni e alla rarità, mentre la loro colorazione viene valutata su una scala separata che tiene conto del tono, della saturazione e della purezza del colore. Essendo di per sé molto rari (solo lo 0,01% dei diamanti estratti è colorato), vengono quasi sempre considerati da investimento.
Nonostante un diamante da investimento, per essere valutato come tale, debba idealmente avere caratteristiche che lo rendono pressoché perfetto, all’atto pratico non è detto che una pietra perfetta rappresenti sempre un investimento migliore rispetto ad una di qualità leggermente inferiore. Bisogna infatti sempre ricordarsi che la destinazione d’uso finale di un diamante, anche di un diamante da investimento, è quasi sempre la gioielleria la quale, a sua volta, ha altri parametri di valutazione. Prendiamo ad esempio la caratura: una pietra da due carati ha effettivamente un valore immenso, ma è anche molto difficile da maneggiare e da utilizzare e questo rende particolarmente difficile l’uso commerciale. Allo stesso modo, una pietra che ha al contempo il massimo della purezza e della perfezione nel colore, ha un costo tale da risultare pressoché invendibile. Il rischio è quindi di trovarsi con una pietra dal valore inestimabile ma che, di fatto, non può offrire nulla se non la sua incomparabile bellezza.
Come abbiamo scritto all’inizio, il diamante è considerato il bene rifugio per eccellenza anche perché si ritiene sia immune alle oscillazioni del mercato. Questo però è un falso mito e a dimostrarlo è proprio il calo dei prezzi di questi ultimi anni. Se nel 2021, durante la pandemia, i prezzi del diamante da investimento erano cresciuti del 4’5% circa, già nella prima metà del 2023 erano calati del 18% rispetto ai massimi storici dell'anno precedente.
A incidere su questa rapida e crescente svalutazione sono diversi fattori, tra i quali la pandemia stessa: se il lockdown e le incertezze legate al futuro avevano portato le persone ad investire in beni di rifugio, la fine delle restrizioni ha portato le classi più abbienti a spendere tempestivamente in altro tipo di lussi, come ad esempio i viaggi.
C'è un altro fattore: la diffusione, sempre maggiore, dei diamanti sintetici. Queste pietre, realizzate in laboratorio, hanno un costo decisamente inferiore rispetto ai diamanti naturali. Sono inoltre considerate più sostenibili, non tanto a livello ambientale (il quantitativo di energia necessarie alla loro produzione e infatti notoriamente enorme) quanto dal punto di vista dei diritti umani. Questo, in un’epoca in cui le condizioni dei lavoratori nelle miniere viene ripetutamente posta sotto i riflettori.
L’utilizzo più comune dei diamanti da 1 o 2 carati è quello degli anelli di fidanzamento, ed è anche quello in cui i consumatori sono più attenti ai prezzi. Non a caso, l’industria dei diamanti sintetici ha prestato particolarmente attenzione proprio a questa categoria, diventando rapidamente la scelta prediletta per un numero decisamente cospicuo di persone. A gennaio del 2020, solo l’11,2% dei diamanti venduti sciolti era sintetico, mentre a febbraio del 2023 erano il 46,6%.
Dati il calo della richiesta e il crollo dei prezzi, vendere diamanti da investimento può rivelarsi oggi estremamente difficoltoso e, soprattutto, meno redditizio rispetto a quanto si era ipotizzato. Sarà infatti sempre più difficile trovare un acquirente disposto a comprare una pietra al prezzo d’acquisto. Se poi abbiamo fretta di convertire il diamante in liquidità, rischiamo di trovarci costretti a svendere, trasformando quindi in perdita quello che, inizialmente, era stato concepito come investimento.
Se un diamante da un carato e di qualità appena superiore alla media costava, nel 2022, circa 6.700 dollari, già nel febbraio del 2023 ne costava 5.300, con ulteriore prospettiva di calo. Certo, una volta sfatato il mito della stabilità del mercato dei diamanti, è sempre possibile sperare in nuove fluttuazioni che ne determinino la crescita, ma se si desidera stare sul sicuro la cosa migliore da fare è sicuramente vendere prima che i prezzi si abbassino ulteriormente, soprattutto in un momento storico come il nostro caratterizzato da una fortissima instabilità economica, politica e ambientale.
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